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Viaggio con Tolstoj

13 martedì Ott 2020

Posted by scribastonato in Travelling

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Tag

aspirante scrittore, Bulgaria, esordiente, Pessoa, poesia, romanzo, scrittura, scrivere, Tolstoj, Travelling, viaggiare, viaggio, writing, Yasna

Photo by Plamen Agov – studiolemontree.com – CC BY-SA 3.0

La settimana scorsa ho conosciuto una coppia insolita. Nelle loro torrette arroccate su un’altura impervia niente tv né social, internet solo per servizio e cibo a chilometri dieci; quei due non fumano non eccedono si divertono q.b., leggono suonano e padroneggiano cinque lingue l’uno.

Lui, geologo girovago per professione, ha diretto gestito orientato e incaricato fino al logoramento; ora obbedisce a lei sola, a un ingegnere di testa e di talento che l’ha investito della gerenza domestica.

Smarrita in un distanziamento boschivo reso surreale da sedili diffusi, tra un bignè e una slerfa de fugassa ho apprezzato gli spunti al femminile sulla sicurezza nei cantieri e le avventure fiabesche del geologo ammaliatore.

Si sofferma sulla Georgia lui, intervallandosi con domande di cultura generica che pungerebbero, se non intercedesse la compagna suggeritrice. Georgia e tradizioni che a me, non glielo dico, ricordano la Sardegna di qualche decennio fa; Georgia tra Caucaso e Mar Nero, dove le donne comandano purché non si sappia in giro; Georgia e innovazione, spiega, senza la paura nostrana d’ipotecare il tempo.

Ascolto estasiata finché non si blocca a redarguire me, proprio me che non do adito:

– Vorrei, vorrei non fai che ripetere, vorresti andare ovunque. Perché non scegli un posto e parti?

Sterminati attimi d’angoscia e bofonchio:

– Non tutti hanno la fortuna di viaggiare per lavoro, anche sognare è un po’ partire.

Da sognare in poi non dev’essersi capito un granché, tanto ho bisbigliato.

Ma è bastato, lui scalpita pronto al galoppo. Lei gli stringe la cavezza:

– Sono d’accordo, desiderare ci avvicina a possedere. Tra figli e impegni non è facile spostarsi. Quando sarai più libera, recupererai.

Amen. Non l’ha convinto, se si è accanito sul pecorino ai gelsi mulinando occhi ancora accesi. A fauci di nuovo vuote, ha ripreso la carica:

–  Se potessi partire oggi, dove andresti?

– Te l’ho detto, sono tanti i posti che prima o poi…

– Scegline uno e bon, troppi progetti sono zero successi.

Credo gli sia arrivato un calcio sotto il tavolo, e lei ha chiuso il discorso:

– Non lo dice certo a uno zotico come te, –  mi ha fatto l’occhiolino e ha cambiato argomento.

Un gran bel pomeriggio senza altri intoppi, ma due pensieri hanno preso a rimbalzare nel flipper della mia testa:

1 – Troppi progetti sono zero successi.

Forse il geologo ha ragione, anche per scrivere devo eliminare il resto. Ha battuto e ribattuto sulla programmazione a lungo termine: scegli un progetto, guardalo nascere ma immaginalo tra cinque anni, non lesinare sul tempo. Se poi non è destino i giorni e le settimane si contrarranno da sé, si dilateranno, spariranno. Tu intanto osa. E resta fedele a quella sola idea, che gli altri corrano pure dietro a mille gonnelle.

2 – Se potessi partire oggi, dove andresti?

Cercherei un posto al quale appartenere. Per sentirmi a casa, tra chi prova e pensa come me, senza brama di scappare ancora, la finestra aperta a respirare un cielo che accomuna. Invece niente mura a proteggermi, nessun paese si carica della mia pena; quando cade il buio, non c’è colonia umana a comprendermi.

Ricordo una frase di Pessoa, o forse non la ricordo così bene se non esce neppure su internet. Dovrei controllare i volumi nella libreria, scaffale in alto a destra; no, lascio perdere. La frase recita: “Vorrei essere ogni uomo in ogni luogo”. Ecco dove andrei, oggi: ovunque e nei panni di chiunque. Infiniti modi di essere e di vivere.

Ma resto sempre a qualche passo di distanza, e l’altro, qualunque altro, lo percepisce.

Lo so, sto barando, il geologo peregrino non intendeva questo.

Parto per un viaggio, uno solo. Non so scegliere. Mi affido per la prima volta a Google Earth, pare sia meglio di Maps. Schiaccio a caso, un mappamondo 3d piroetta sul monitor. Clicco ancora e la Terra smette di girare, due clic e s’ingrandisce. Che figata, senso orario, antiorario, su e giù, again and again.

Mi do tre possibilità, due le scarto e una è mia. Sembra la Ruota della Fortuna, chissà dove finirò. Zoom e si legge qualche nome, villaggi dal doppio carattere occidentale e arabo. Allargo allargo allargo, sono in Ciad: Zouar, Iriba, Adré, Kaouda, piccoli agglomerati nel deserto di case basse e recintate; ancora giù per altipiani e savane, Mongo, Abou Deia, Sarh, Bokoro, Mao fino al lago Ciad, quindi raggiungo la capitale N’Djamena, sul fiume Chari. Neanche a N’Djamena funziona lo Street View, qualche foto di una città recente e polverosa, cambio aria.

Giro ancora la ruota, giro giro e poi fermo il mondo. Firenze?! Non mi sembra il caso, la conosco abbastanza. Ultima chance: gioco la carta ”mi sento fortunato”, Google Earth sceglierà per me.

Vado, vado… ma come, in Bulgaria?! Sognavo la Norvegia, Berlino, Tokyo!

– E perché non ci sei andata?

– Non t’impicciare, confidavo nella sorte. Però in effetti… perché non ho scelto io? Sempre la solita storia: lascio che gli eventi seguano il loro corso e poi mi lamento; forse se avessi…

– Comunque in Bulgaria si mangia bene. Ho visto una trasmissione, fanno un kebab buono buono e gli involtini col formaggio sono invitanti, e poi la polenta…

– Va bene dai, vediamola questa Bulgaria. Fossi almeno capitata nella bella Sofia, o a Plovdiv, tra moschee e anfiteatri romani. Niente, sono a Svilengrad, giù giù al confine con Grecia e Turchia, in pratica un casino. È un posto tristemente noto perché da qui passano i profughi siriani che risalgono dalla Turchia, vengono raccolti col loro fardello, tanto dolore e poca fiducia, nei centri di smistamento in zona. Faccio un giro, ricordo immagini televisive, ho un groppo in gola, piango.

Se le scritte in alfabeto cirillico inquietano, lo STOP rivela cartelli stradali leggibili, procedo più spavalda. Cambio quartiere, supero una scuola, raggiungo uno dei peggiori hinterland mai visti – e dire che io nasco come randagio di periferia, –  degrado che sgretola prefabbricati, cortine e radar parabolici. Ma a incupire è la ruggine che cola, ruggine sorella di miseria e incuria. Un cane fulvo fissa l’obiettivo Google, supplica portatemi via. Gli alberi sono secchi e non c’entra l’autunno. Mancano asfalto, pattumiere e auto.

Esco miserere dal sobborgo, cuore sospeso e silenzio scialbo, saluto con conforto un minimarket. Earth non va oltre, dietrofront, di nuovo lo scempio. Rivedo ruggine, muri scorticati, balconi in gabbia, sbarre divelte. Frontiera di fatto, ricomincia l’asfalto con aiuole e villette, cancellate e giardini. Tinte vive, perfino il cielo – bontà di Google – ha cambiato umore. Nel parco giochi siepi potate, lanterne a boccia, bidoni gialli, plotoni di panchine. Tutto è pulito e riluce, viene il magone se penso a dietro l’angolo.

Dov’è il sindaco, che gliene dico quattro?

Costeggio la Mariza che scorre algida, chiedo a un tizio dal buon inglese: benvenuta a Svilengrad, visita il Ponte Vecchio. Annuisco finché non mi indica il municipio.

Eccolo, coi lampioncini che manco il Café de Paris a Montecarlo, solo che l’edificio è basso. Il sindaco mi riceve quando minaccio rimostranze al console, ma non capisce il mio parlato – finge? – e mi liquida con due bazzecole.

Zdravej ciao, Kolko struva? quanto costa? – è quanto imparo in poche ore.

M’intriga questa Bulgaria, ne percepisco il richiamo. Raggiungo il Mar Nero, distretto di Burgas, è qui che intendo muovermi.

I personaggi prendono voce, si tratteggiano prudenti i volti. Le vie di Nesebar fanno un po’ vacanza, a Tsarevo dormo sulla spiaggia. Ora anch’io ho un posto che mi vuole, è quel villaggio che blandì Tolstoj legando il nome allo scrittore russo, merita indagini. Mi fermerò per qualche mese o anno, resterò ospite di Varvara e Pavel.

Solo lì vorrei andare, risponderei oggi al geologo.

– Se va bene quello se n’è già sparito in Adzerbaijan.

– Buon per lui, avremo tanto da raccontarci al rientro.

Intanto parto per Yasna Polyana, e stavolta viaggio con Tolstoj.

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Questione di virgola

19 sabato Set 2020

Posted by scribastonato in Travelling

≈ 26 commenti

Tag

autostoppisti, Delfi, Delphi, domanda, esordienti, oracolo, Pizia, scrittore, Travelling, writing

Ho perso un quaderno prezioso, un quadernetto blu-mediterraneo, comprato qualche anno fa in Grecia,  sul quale avevo annotato la storia – vera o pensata – delle facce e dei posti incrociati tra Delfi, Olympia, Corinto, Epidauro, Micene, Eleusi fino ad Atene.

Delfi ti cambia la vita.

La sera prima di salire al santuario di Apollo ceno in una tipica taverna di paese, mi raccontano miti che riascolto con piacere. Giro per le strade polverose tra pullman che non trovano requie, botteghe di formaggi sottovuoto e bazar di souvenir prevedibili. Compro per sei euro una radiolina a batterie. Sul balcone dell’hotel ascolto musica notturna a km zero, la piana fino al mare richiama gli eserciti che si sono fronteggiati nella prima guerra sacra, duemilacinquecento anni fa.

Cerco una domanda da porre alla sacerdotessa Pizia, ma devo formularla bene o sprecherò l’attimo. Al di là della risposta più o meno pregnante, a me interessa proprio la domanda, quel dubbio vitale che nell’antichità mi avrebbe fatto rinunciare a giornate lavorative, percorrere chilometri e chilometri a fatica, pagare tributi onerosi pur di ottenere un responso non per forza risolutivo. Voglio una domanda inespugnabile, che non lasci scampo all’oracolo ed esprima quell’unico desiderio che rivolgerei a un astro cadente.

E così, in una tiepida mattina primaverile che avrei voluto di due millenni fa, nascosta dietro un look maschietto alla Fantaghirò (le uniche donne che la Pizia accetti al tempio sono le pie comari che mantengono il fuocherello), col receptionist dell’albergo ad accompagnarmi, il mio quesito bell’e buono in tasca e una specie di saltacoda dei poveri, resto in attesa di un cenno.

Già, perché Apollo non sempre è disposto a dare consigli, neanche nei giorni stabiliti. I sacerdoti bagnano con acqua fredda una capra spaurita: se all’animale vengono i brividi il dio è sveglio e parlerà, la capra sarà bruciata e i presenti sapranno che la cosa si fa; se no, tutti a casa e alla prossima.

Fumo dal tempio, è andata.

Superata la giurisdizione di Athena Prònaia col suo ammiccante tempietto circolare, mi rinfresco alla fonte Castalia dove si purifica la Pizia prima delle consultazioni e ammiro il massiccio del Parnaso, tanto caro alle Muse e ai loro protetti.

Dopo negozietti di ex voto e laboratori artigiani, stretta tra le mura poligonali che a leggere tutte le scritte dei pellegrini si fa notte, vado zigzagando lungo la comoda e lastricata Via Sacra che attraversa il santuario fino al tempio di Apollo.

Mi arrampico tra pietre sacre, tempietti, tesoretti, cimeli e fotografi improvvisati fino alla meta, che chissà cosa doveva essere quando tutto sbrilluccicava di marmo, colori e metalli preziosi. Non degno di uno sguardo il museo, né il teatro: la domanda mi prude dentro e assecondo l’urgenza.

Al cospetto dei sacerdoti sono emozionata peggio che alla maturità. Domanda accolta, evviva! Mi purifico, offro sull’altare la focaccetta comprata in paese e pago il corrispettivo di un paio di sneakers. Mi tranquillizza leggere un familiare ΓΝΩΘΙ ΣΑΥΤΟΝ, “conosci te stesso” (sì, la scritta che in Grecia campeggia sulle magliette col faccione di Socrate, proprio quella).

Entro nel tempio, c’è qualcosa di sinistro e non sono i pipistrelli. L’agnellino sbrandellato e puzzolente che porto con me viene cotto, distribuito e in parte sacrificato.

Devo aver fatto tutto per bene se i sacerdoti, senza sospettare che io sia femmina, mi portano nella stanza segreta della Pizia: due statue di Apollo, una pietra-uovo che sembra una pigna, memorabilia a profusione, fumo, penombra e odore di abete natalizio misto a carne all’uccelletto.

La Pizia, sul trespolo, sembra una milf in preda alle caldane. Bevo un’acqua che sa di piedi allo zafferano e formulo la domanda per Apollo. La donna scende in una spaccatura del terreno e dopo venti minuti riemerge così strafatta che i sacerdoti parlano per lei, trascrivono le sue parole e me le riportano.

Grata e appagata mi avvio all’uscita, ma vengo trattenuta: la divinità reclama ancora un dono. Mi rassegno a lasciare il pataccone d’oro della Prima Comunione, la Madonna che stringe in braccio Gesù Bambino. Ma cosa se ne farà poi Apollo…!

– Ecco dov’era finito, il medaglione. Quindi… hai avuto il tuo responso?

– Certo, l’oracolo ha sentenziato: “Le mine non affogheranno nell’aere quando seppellirai i defunti”.

– Che tradotto sarebbe…?

– Che andrà bene o che andrà male; che devo staccarmi dal passato o che non devo cambiare solo per compiacere gli altri.

– Contenta tu.

– È la classica risposta sibillina, il senso dipende dalla virgola.

– E dove la piazziamo questa virgola?

– Può stare prima o dopo “nell’aere”. Mi auguro che vada prima.

– Va beh, basta parlare di oracoli.

– Torno a scrivere.

– Ma davvero tutta questa pappardella su Delfi e non mi sveli La Domanda fondamentale sulla vita, l’universo e tutto quanto?

– Non prendermi in giro! E poi cosa te ne importa?

– Magari mi aiuta a capire La Risposta!

– Sparisci, va’!

La soluzione del quiz La Domandona tra una settimana.

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