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Solitudini bastate…

15 lunedì Ago 2022

Posted by scribastonato in Reveries

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aspirante scrittore, brioche, esordiente, Ferragosto, max gazzè, musica, Natale, racconti, scrittura, scrivere, writing

(per dirla con Max Gazzè)

La solitudine arriva presto, pezzo a pezzetto, e con te rimane. Arriva senza che te ne accorga e non se ne va mentre sorridi, quando a Natale vi abbracciate a tavola, se al Ferragosto sole in terrazza e gavettoni tutti, tutti voi che ve ne state insieme. Poi passa l’anno, torna un altro Ferragosto e… manca una persona.

– Una sola, che sarà mai.

– Sarà eccome.

A Natale ne mancano due, di convitati, tra chi cresce e chi se ne va più gatti vari che scappano o muoiono, e tu sei lì a guardare chi hai, e la casa che sembra comunque piena di un giorno festoso; qualche mese dopo sei un’altra volta a crudo e melone nel dehor sul mare più arachidi e Gin Tonic che si fa uno strappo alla dieta, se oggi siamo tutti insieme.

La solitudine è ancora lì, in quei momenti è con te che proprio non lo capisci e allora procedi campione, va’ avanti e conquista; finché a un certo punto. Si fa toccare. La tocchi. È fredda, la solitudine. È fredda anche a Ferragosto, quando il sole scalda che sembra cuocere e vai al bar solito che tutti trascurano per la nuova croissanteria fighetta che ha aperto all’angolo. E sei in coda, una coda che non ti aspettavi lì, al bar di solito vuoto, una coda calda in questa feria d’agosto insieme agli altri estranei, a tutti gli altri che sorridono in fila e pregustano la loro calda giornata di festa.

Ma poi. Scambio di sguardi col vecchio che ha un tocco di focaccia, lo tiene come le paste per sua moglie e i figli quando sua moglie c’era e lui interessava ai figli, quando comprava cavolini e bignè mi dia soprattutto quelli alla crema e aspettava fuori da messa col sorriso e i dolci in grembo, e ignorava il rimprovero di lei dacché non era entrato in chiesa, e rincasavano con passo da domenica a mangiare il buono che era già pronto all’alba. Ora ti guarda lui, il vecchierello dalla polo a righe e macchie, ti guarda con quel suo cane ignaro e ti fa capire che lui invece sa, sa quel che viene e sa che ci sei anche tu lì dentro, vi riconoscete nella solitudine della vostra festicciola sobria.

Esci con un groppo allo sterno, proprio sotto la gola, un magone al petto che ti mangia dentro, così tanto che non senti più fame: prendi la tua brioche al cioccolato nella carta spessa che non unge e ti avvicini al cesto della spazzatura, ché tanto la solitudine sazia. Devi cercare di fartela compagna, quella. Tempo ne hai, hai ancora anni, ora che sai di averla al tuo fianco. E devi ammansirla devi, perché se no la solitudine fa male, arriva a un punto che diventa brutta, così di colpo, e non ti dà tregua. Se la coltivi, invece, un po’ ti è amica: o la prendi con te, la solitudine, o entra a forza e poi ti espugna e sbrana.

Vorresti buttarla, quella dannata brioche, sbatterla sul fondo del cestino e schiacciarla bene col pugno ma non lo fai, tuo malgrado non lo fai perché il cestino è pieno e la brioche non ci starebbe e ancora non lo fai, se no finisce la tua parvenza di Ferragosto e la solitudine diventa vera.

Poi l’inverosimile, se succedesse in un libro o alla tivù non ci crederesti: cade la brioche al cioccolato, cade e pensi non è atterrata male, tanto è protetta dalla carta. Ti chini, la afferri, la osservi e però il sacchetto è a rovescio, la brioche sguscia e cade sull’asfalto del marciapiede. La raccogli subito e pensi sono passati meno di cinque secondi, se soffio posso mangiarla e non succede niente ma poi guardi a terra, tra chiazze di pisciata e piume e cicche e altro, no non si può, che schifo. E subito la solitudine ti è appollaiata in spalla.

Intanto è cambiato davvero il tempo, come era scritto in agenda. Piove forte e ristora, ma qualcuno no. No chi è in guerra, no chi quattro anni fa attraversava il ponte. No chi vuole tornare col culo in spiaggia, oggi, in attesa che arrivi il suo turno.

– Il turno di cosa, per comprare le brioche?

– Ma no, che dici, il turno per… lascia perdere, buon Ferragosto.

…a farsi da mangiare. (Per chiudere con Max Gazzè)

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Camminare

16 mercoledì Dic 2020

Posted by scribastonato in Reveries

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Tag

aspirante scrittore, Candy Candy, dicembre, marshmallow, Natale, neve, romanzo, scrittura, snow, writing

Ho camminato sulla neve ghiacciata. Morbida sotto e ricoperta da un lieve strato di gelo, tipo la crema catalana o i marshmallow con la crosticina di cioccolato, quelli che si vendono sulle bancarelle al luna park ma scelgo sempre le cocacole e i coccodrilli gommosi a palate, come nei candy shop inglesi. E finisco per non assaggiarli mai, quei dolcini a forma di talpa. Che bello il gioco delle talpe da acchiappare, la prima volta l’ho visto in vacanza coi miei, a Londra, ero più piccola di Candy alla casa di Pony. Entriamo in questa sala giochi tutta luci e urla meccaniche, il Trocadero nel mio immaginario dà ancora punti a Disneyland; mi passano un grosso martello dall’aria simpatica e comincio a menare come un ferraio sulle povere teste delle talpozze che si alternano fuori dalle buche, lente e più veloci e non sai mai dove spunteranno, colpisco alla rinfusa che Thor spostati e non faccio esattamente una strage, ma rido a fauci così smodate che contagio il circondario, la mia famiglia e anche i giocatori in zona, per lo più ragazzi che si sforzano di rispettare un contegno adolescenziale. Eh, da adolescente non è facile mantenere una reputazione, velarsi di aloni che sappiano di mistero o potenza o perfino di sacralità, coltivare una scorza che fa un po’ Terence di Candy Candy per custodire quel ripieno tenero e spugnoso, che si guasta in un attimo.

Ho camminato poi sul ghiaccio vero e puro, mio figlio che sgusciava furbetto lontano da me come il giorno in cui è nato, anche stavolta senza farsi male, e si divertiva quasi avesse avuto lo slittino sotto il culo. Da bambina andavo spesso sulla neve, perché era inverno perché lo facevano tutti perché i miei si aggregavano perché si respira aria sana perché è spassoso. Non mi sono mai divertita troppo sulla neve, forse perché dopo aver quasi evirato un istruttore passandogli sotto le gambe con gli sci a candela, ho avvertito il pericolo di uno svago che non fa per me. Conservo un buon ricordo delle giornate passate sullo slittino, quando scendevo storta col mio tutone – altro che tecnico! – tinta beige squaraus di mucca e finivo regolarmente a puccetta nel nevischio, sempre fradicia a fine gioco ma che risate anche lì, altri momenti belli che se li avessi immaginati così tenaci nel tempo, forse qualche foto ricordo senza rugne né smorfie a mio papà l’avrei concessa. Risalivo sguaiata con lo slittino a rimorchio per conquistare la discesa prima di mia sorella, i guanti non più un dito per apertura, e ridevo sfrenata per le cadute che io facevo, che lei faceva, che speravamo facessero i nostri genitori. E mi sentivo uno di quei bambini delle storie fredde e lontane, il piccolo eroe di Haarlem che salva i compaesani bloccando per tutta la notte la diga con un dito; Kay e Gerda che, meno imbacuccati di me, si spostano per terre incantevoli  sulle quali la regina delle nevi fa sentire il suo respiro prima ancora di Babbo Natale. E oggi non c’è neve che sia sciabile sempre e per tutti, non è detto che ogni slittino sia cavalcabile e non è facile, forse neanche appetibile, fare un viaggetto a Londra, in Olanda o a Rovaniemi. Ma. Proprio ieri l’Oms ha detto che Babbo Natale è immune dal virus e può circolare, ho pianto di gioia e penso sia una gran cosa per i nostri bambini, costretti a vivere una cattività che neanche i genitori sono propensi a fotografare, meglio non lasciare traccia; una gran cosa per i nostri adolescenti, che avranno qualcosa in più da condividere e confutare con gli amici virtuali, virtuali come Babbo Natale; e una gran cosa per noi con più anni in faccia, noi bisognosi di qualcuno che, pur relegato in un cantuccio segreto, in qualche modo ci riporti a sperare.

Ho anche camminato sulla fanghiglia fredda, quel bianco sporco accumulato a bordo strada che a volte occupa i posti auto buoni, che fa pezzati i campi lungo i tratti, e sporca le scarpe delle signore che si ostinano a lucidarle; quella poltiglia zozza e puzzolente, che spinge a centro corsia le biciclette, e illude i giovani che sì giocheranno ancora, regala ai pensionati pretesti di mugugno e sfida i cani a tingerla di giallo, che allunga il percorso di chi già ha fretta, e ci ricorda che l’inverno è tanto lungo, dobbiamo continuare a camminare.

Scritto da Scribastonato il 16/12/2020

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