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Testa a cuocere

09 domenica Ago 2020

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Tag

disciplina, procrastinazione, racconti, scrittura, strategie, tecnica del pomodoro, writing

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Chi ha abbastanza disciplina per scrivere un romanzo?

Ho smesso di lavorare qualche anno fa, è stato come strapparsi un arto: di colpo sono passata da quindici e più ore giornaliere d’impegno a zero totale, telefoni muti e nessuno a spremermi. Poche preoccupazioni, neanche un goccio di adrenalina. Amavo profondamente il mio lavoro, non capita a tutti di essere pagati per ciò che si sa fare davvero.

Mi sono messa a scrivere per conto mio: per un bisogno impellente, per i personaggi che urlavano in testa, per le storie che mi rapivano alla realtà, blablabla etcetc.

Ho buttato giù la traccia (una luuunga traccia), incastrato vicende e persone e via. Ho capito subito che non sarebbe stato come scrivere un racconto, per quanto lungo. Il tempo passava, le pagine (dritte o storte) aumentavano senza mostrare il fondo.

Altro che scrittori maledetti, altro che alcol e genio & sregolatezza: ho scoperto che la scrittura è un lavoro da artigiano, quasi da certosino, testa a cuocere e pedalare.

Tante volte sono stata sul punto di abbandonare. Poi ho raggiunto la metà, e il punto dopo la metà, e una parte di me, vedendomi esausta, è andata in giro (soprattutto per il web) a cercare risorse: e allora avanti coi siti di crescita personale e i gruppi di discussione, aforismi motivazionali a gogo e Ted Talk su procrastinazione e disciplina e forza di volontà; sotto con le tecniche del pomodoro, del peperone, con le sfide da quindici minuti e da novanta giorni. Ma la fine sembrava ancora lontana.

Se scrivi un romanzo non devi rendere conto a nessuno, non sei stritolato dalle scadenze, dai clienti né dai datori di lavoro, ed è quindi più facile indulgere al riposo. Soprattutto se rallentare ti dà una gratificazione immediata: una bella giornata con chi ami, una vacanza improvvisata, qualche ora di shopping, tempo per te e le tue passioni.

E allora perché ostinarsi al sacrificio, perché scrivere parole che a rileggerle fanno schifo?

Poi ho trovato il mio metodo, quello stesso che mi ha trascinato per i capelli fino alla meta: senza rinunciare alle diverse tecniche per sviluppare l’autodisciplina, ho deciso di assegnarmi uno stipendio. Esatto, di pagarmi. Perché se non ci credo io, chi ci crede?

Ho preso un barattolo molto grande, tipo quelli delle drogherie di una volta per le caramelle di eucalipto o le liquirizie e le violette. Ho attaccato su una bella etichetta a fiori: STIPENDIO PER IL ROMANZO – 0,01 centesimi a parola (il compenso per la revisione era inferiore).

Da quel momento ho scritto almeno duemila parole al giorno, e ogni sera ho versato lo stipendio nel barattolo. Non ricordo come io abbia speso i soldi così guadagnati, probabilmente ho pagato il bollo auto e poco altro, però l’idea che qualcuno credesse in me tanto da investire denaro è servita eccome.

Adesso vorrei scrivere un secondo romanzo (ancora per qualche anno non potrò lavorare, perciò ne approfitto). Prima del lockdown ho tirato giù una traccia (che non mi convince) e ho affittato una scrivania in coworking.

So che sarà più difficile, la delusione del primo romanzo si fa ancora sentire, ma cercherò di andare avanti col paraocchi, col paraorecchie, con l’armatura.

Ogni suggerimento è ben accetto.

 

– Vattene a nanna, che è tardi.

– Non intendevo ques… va bene, buonanotte.

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Non si butta via niente

07 venerdì Ago 2020

Posted by scribastonato in writing

≈ 4 commenti

Tag

aspirante scrittore, esordienti, gatti, racconti, romanzo, scrittura, writing

8

Continuo a perdermi tra gli appunti degli ultimi anni, idee e bagatelle da riesumare o seppellire.

– Zombie?

– Naaa, zitto tu, niente putrefazione. E poi non è ancora il tuo momento.

Oggi farei lavorare al mio posto Ciccia e Ciccino, troppe incombenze che mi creano ansia, devo quasi uscire.

Ho ricominciato per la terza volta “On writing” del Re. Come sempre mi sono stufata a poco dall’inizio, vorrà dire qualcosa se ho letto il mio primo S. King solo in lockdown (imponendomelo a fatica).

Scelgo il compromesso: accantonerò as usual l’indigesto trattatello reale per continuare con l’amabile tomino di Guido Conti (“Imparare a scrivere con i grandi”) e col compianto Haruf (l’ultimo tradotto è delizioso), ma sacrificherò qualche ora per seguire le lezioni di stile di W. Strunk, come suggerito da King.

Dall’archivio a cilindro (che poi è un sacchettone di quelli robusti, da supermercato, pieno zeppo di fogli e agende senza priorità) estraggo una storia ottocentesca, un mix tra Paperinik e lo Squartatore con un retrogusto di beffa in agguato dietro i lampioni. Sarebbe laborioso estrapolare qualcosa di utile da questi appunti, forse perché quindici anni fa immaginavo di trarne una storia lunga, una sceneggiatura più che un romanzo. Purtroppo temo ne uscirebbe un altro racconto di mezza misura tipo il mio ultimo lavoro, quaranta pagine scarse improponibili a chiunque.

– E tu allunga il brodo!

– Piuttosto lo faccio restringere, almeno ha più sapore. L’argomento è delicato, rischio di scrivere l’ennesima storiella trita e ritrita. Poi si ha un bel dire che tutto è già stato scritto e che a fare la differenza è il come: lo stile di chi racconta, il senso del ritmo, il lessico e il resto. Ma se la storia non dice nulla o non è spendibile manco a pregare, potrei anche avere uno stile da ultimo Strega che a nessuno importerebbe.

– Mi hai convinto, quella di Paperinik lo Squartatore non voglio sentirla. Altre idee? Fruga, fruga…

– Ecco, qui ho un bel paio di mocassini.

– Mocassini? Ma non sono un po’ fuori moda? Giusto mio padre li metteva.

– E infatti è proprio quello il senso. Appartengono a un ragazzo di strada, un funambolo che gira il mondo con una valigia di trucchetti e poco più, ma non si separa mai dai mocassini di suo padre. Li pulisce, li lucida e li indossa ogni volta che fa uno spettacolo. E ogni volta rivive la delusione, la stessa che ha causato a suo padre scegliendo una strada diversa da quella tracciata. Ma una notte, a Venezia…

– Basta! Non voglio saperlo, se no non la scrivi più. Forza, fila a lavorare e butta giù questo racconto, che voglio leggerlo.

– Va bene, allora scriverò “Lo spettacolo era finito”.

Lo spettacolo è finito…

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Questa è poesia

06 giovedì Ago 2020

Posted by scribastonato in writing

≈ 9 commenti

Tag

esordiente, gatti neri, imperia, mamma, poesia, progetti, racconti, scrittura, writing

6 bis

Stamattina sveglia presto, discorso del Dalai Lama sotto la doccia (ma non ci capisco ancora niente… sarebbe il caso di leggere qualcosa a proposito?) e poi arriva una prima idea, “Il secchio e il mare” :-), pensato e tratteggiato e non è uno scherzo, anche se fa ridere!

Colazione & giornali da vacanza, Kent Haruf e poi momento di felicità. Perché la bellezza, la poesia, basta cercarle e sono veramente ovunque. E se non abbiamo voglia di cercarle arrivano da sole, basta accoglierle: sono due ragazzini con la chitarra sul balcone, il vicino che ti libera da un finto addetto Enel, una macchina gialla che sorride per farti attraversare, le unghie appena tagliate e limate, il profumo dell’acqua di rose.

Che fatica essere lui, quello che cammina sempre, che urla alle persone. Giovane, carino, vestito bene, dev’esserci per forza chi lo accudisce. Però matto, matto o tossico, pronto a inveire e a questuare per poi esplodere. Già alle sette del mattino è costretto a camminare, forse perché il suo peggior nemico, se stesso, non gli dà tregua. Oppure è sua mamma, sua zia o qualcuno che lo ama a forzarlo. Cammina e non sa perché, come il nipote delle vecchine di “Arsenico e vecchi merletti”, che costruiva il Canale di Suez ignaro del piano delle ziette. Immagino con quanta compassione lo spediscano a calpestare le strade d’Imperia a quell’ora.

Davanti alla stazione ferroviaria ormai in disuso c’è un furgoncino da lavoro – il classico camioncino bianco tipo Fiorino –  parcheggiato regolarmente e coi vetri chiusi. Dentro, un uomo sulla cinquantina in tenuta da operaio, maglia rossa sbrindellata e mani raspose, abbraccia e bacia un’esile figura arrendevole, un flauto traverso abbandonato alle sue dita appassionate quasi lo guidassero alla Scala. Il suono, ovattato, è irrilevante rispetto all’impegno di studio. E questa per me è poesia, ca°°o, questa è poesia!

Oggi cercavo un’idea e ne ho trovato due. Come dicono i miei gatti: “Se non ti viene in mente niente… pensa alla mamma”. Due mamme diverse, una per racconto.

La prima fa il bene del figlio nonostante il contesto in cui vive, e quando capisce che l’unico modo per salvarlo è ribaltarne i modelli… compie un gesto estremo (no, non si ammazza) e bizzarro.

L’altra mamma, all’opposto, dietro una parvenza di bene sta danneggiando il piccolo, lo sta danneggiando per sempre.

– Ma oggi non è la festa della mamma. E poi che noia, sempre a dare la colpa alle mamme…

– Nessuna delle due ha colpa. O forse sono colpevoli entrambe. Chi non lo è? Del resto, se ti assumi la responsabilità di un’altra persona hai più possibilità di fortuna, il doppio delle possibilità, il doppio delle soddisfazioni e delle gioie. Ma hai anche doppi dolori, doppie colpe e sfighe. Se hai accettato la scommessa, un po’ te la sei voluta. Nella vita sei stata sempre una poveraccia che si è dovuta conquistare tutto: perché ai tuoi figli, con lo stesso DNA e la stessa incapacità d’imparare dagli errori, dovrebbe andare meglio? A meno che…

– A meno che non li adotti?

– A meno che tu non decida di offrire loro qualcosa di diverso rispetto a quello che hai avuto. Ma non è detto che sia la soluzione.

– E non è detto che sia quello che vogliono loro.

– – Me ne frego, sono i miei personaggi e fanno quello che dico io!

Quello che dico io.

 

 

 

 

 

 

 

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Falciata al Calvino

05 mercoledì Ago 2020

Posted by scribastonato in writing

≈ 9 commenti

Tag

esordiente, gatti neri, premio Calvino, progetti, racconti, riviste, scrittura

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Passate le 18, passato luglio, passato il lockdown, passato il Calvino. Anzi no, il Calvino col cavolo che l’ho passato. Ho appena ricevuto la scheda di lettura: condivido molte critiche, ma non accetto che certe scelte lessicali siano additate come imprecisioni. Pazienza, tanto non avrei vinto lo stesso. è (ma come si inserisce la “è” maiuscola su wordpress?) facile che abbiano ragione, ho scritto un romanzo con evidenti debolezze. Forse anche di struttura. Eppure – come per fortuna mi è stato riconosciuto – presenta diversi punti di forza. Bene, partirò da quelli per andare avanti, per scrivere una nuova storia e trasformarla in romanzo.

Intanto mi godo l’aria fresca d’Imperia, questi due strani gatti neri dei boschi e i tanti appunti che ho trafugato dal mio passato.

Potrei proporre un racconto a una rivista, con l’Almanacco Guanda ha funzionato.

Tra una canzone natalizia e un film freddo, in questo agosto butterò giù il soggetto della mia prossima storiaccia autunno-inverno.

E imparerò a digitare un po’ più in fretta, magari utilizzando dita che non siano le solite due.

Bene, cominciamo: oggi copierò gli appunti su un uomo privato dalla religione della possibilità di essere un tizio qualunque.

– Perché, la religione ha ancora tanto potere? Se non se la fila nessuno! Di sicuro sarà stato un prete a privarlo di certi privilegi, non la Religione con la R grande. E poi perché vuole essere un tizio qualunque? L’alternativa è brutta? Disdicevole?

– No, l’alternativa non è malaccio, nessuno gli toglierebbe niente. E ti assicuro che il tizio ha un bel po’ di cose. Ma si sentirebbe un outsider, il solito escluso che tutti sembrano invidiare ma poi la domenica tutti a messa e pranzo da nonna.

– Quindi il nostro amico vorrebbe essere come gli altri? Perché, la domenica niente messa e digiuno?

– A casa sua la domenica si legge, si fa un piccolo circolo di lettura in famiglia, e… ma no, cosa ti racconto, non è questo il problema. Il fatto è che non riesce a entrare nel gioco, non ha la fede. E quindi tutto gli sembra strano. Se poi ci metti che i genitori l’hanno abituato a ragionare con la propria testa, a dire e a fare quel che pensa e a dare il giusto peso a persone e cose, capisci bene che il disastro è assicurato.

– A me sembra un gran figo, ce ne fossero…

– Tu ne vedi tanti così, in giro?

– No ma vorrei…

– Starebbe sulle palle anche a te al primo: “Sei come il mondo: abbracci tutto ma non stringi niente”. E se non al primo, al secondo commento antipatico. Così lui resta solo. Solo e incapace di mimetizzarsi.

– Quindi il racconto è sui suoi tentativi di farsi degli amici, meglio se devoti?

– No, non c’entra niente. è (maiuscola) su di lui che ogni santa volta cerca di accaparrarsi un sacramento e gli viene negato.

– Ma non avevi detto che… Va beh, fa niente, lo leggerò sulla rivista.

– Sempre che me lo pubblichino.

– Sempre che tu lo scriva.

Sempre che io lo scriva…

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