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Agila, Alice, Amabili resti, aspirante scrittore, Cocteau Twins, Converse, esordiente, Genova, Io ballo da sola, letteratura, poesia, pubblicare, scrittura, writing

Flutti di nebbia tra alberi consunti, fari stondati ad abbagliare i campi, trattori precoci, galaverna che al solo sentirne parlare vagheggi. Buio, il buio confonde asfalti e terreni, stamane.
Mi si è rotta la macchina. Un’attempata Agila dura a respirare. “Era ora che cambiassi”, il parere di tutti. Il distacco più doloroso da quando ho finito i Karamazov.
Quell’auto, che ha perfino incontrato mio nonno (“Che strana, Pullu, è un furgone?”), ci ha guidato alla crescita quale cantuccio caro e fidato.
Ultimo baluardo della nostra vecchia vita, sprazzo di Liguria marchiata GE sulle terga, circolava per le strade di questo Piemonte che ci ha fatto così male, che pian piano ci entra nelle viscere.
L’esplosione il martedì: una spia sibillina ma neanche troppo, il fanale prende a piangere olio e poi stop, fumata bianca, demolizione e avanti col nuovo papa. Conservo l’antenna sbilenca in borsa.
Ho incontrato Piero pochi giorni dopo, vagavo mesta tra concessionari impavidi. Piero Agila, così battezzato, è una C3 Picasso dal respiro diesel, un elefante irsuto che offre alloggio a chitarre e zaini e ci ha accolto come il primo amore. Disciplinato seppur tardo di comprendonio, i ragazzi già l’adorano.
Meno di una settimana e l’antica auto è dimenticata. Temevo di farne una malattia, per quel che patisco i distacchi.
Venti minuti spartiti in treno, in coda o su una panchina, venti minuti e mi affeziono all’altro da “non ti scordo più”. Peccato veniale se due giorni dopo vige l’oblio, l’intenzione era genuina.
Coi libri non sono così volubile, non subito almeno. Siamo puttani nostro malgrado, soffriamo da far impallidire i tragici e poi si ricomincia da zero, manco da tre come faceva Troisi.
Il trasferimento non è stato semplice, separarsi dal mare strappa i sensi. Ho dato una connotazione a questa cittadina di pianura, l’ho immaginata come sarebbe piaciuta a Steinbeck, a Mc Carthy, a Haruf o a Camon, poi l’ho declassata a luogo di attività e impegno, se vogliamo di abitudine. E va ad aggiungersi alla mia Genova, a Imperia, a Ittiri, Gressoney, Innsbruck.
Tanti posti nel cuore rivelano la mia incostanza.
Quanti ritorni adolescenziali passati a fantasticare su incontri mancati e verità incompiute: rapporti svenevoli e amicizie fraterne, evasioni notturne complice il pianterreno, autostop lungo strade immaginate. La musica eccitava i miei miraggi, vedevo convegni con certi amanti che non c’erano.
Una volta una lieve cotta, un tizio più romantico del presunto, ha percorso chilometri per aspettarmi sotto casa. Ma le sorprese, si sa, meglio lasciarle ai bambini: quando l’ho visto sono scappata senza farmi vedere, la realtà non ammalia come il sognato. Me ne vergogno, sia chiaro, e se c’è giustizia sarà stato ripagato.
Da ragazza vantavo la bontà dei miei sentimenti: “IO fedele al compagno o all’amica per affetto, non per necessità; IO che conosco gli abissi delle emozioni; IO che i legami nascono spontanei, piuttosto crepo di solitudine”. E sola restavo, a fissare le nubi che si dimenavano sotto il manto di Alice dei Cocteau Twins, col mio vano orgoglio e il desiderio di essere ovunque, chiunque lontano da me.
Alice colonna sonora di Io ballo da sola di Bertolucci, Alice che bagna gli Amabili Resti di Peter Jackson (film tratto, peraltro, dal romanzo della scrittrice Sebold, che di nome fa proprio Alice).
Ricordo un pomeriggio nel cortile della Casa dello Studente, sdraiata su una panchina tra cumulinembi a folate e freddo mordace; la vetrata oltre me prometteva sorrisi, caffè e carta sottolineata, giochi di carte e quell’odore tipico di uno stanzone sovrappopolato.
Ero sola là fuori, prima goccioloni poi pioggia, a implorare quel cielo di non cadermi in testa. Nelle orecchie fluiva Alice, ális, alìs come uragano che sfigura il mondo, alìs spirito cupo che sbrana case e abbuia pianeti, alìs da farci stringere l’un l’altro finché alìs non se ne va. Alìs percorre oceani interdetti, alìs abbraccia anime e raccolti, alìs cui è gradito l’uomo, alìs che porta, invisa, catastrofi e incolore. Tutto sbiadisce nella morsa di alìs, alìs che chiede ancora umanità.
Chissà come sembravo, a quegli studenti. Mi sentivo matta, nascondevo in tasca una follia che a ogni nota Alice smascherava.
Cercavo alìs, cantavo alìs così forte, nella mente, che qualcosa sarà pur trapelato. Volevo dirle non sei sola, insieme soffriremo meno. Credo si sia accorta di me, alìs.
Finita l’estasi rientravo in aula, desnuda dentro ed esposta nei miei gesti.
A ripensarci gli altri m’ignoravano, presi come siamo a schivare indifferenze che scambiamo per giudizi. E la palla che invecchiando si migliora non regge: per quanto mi metta alla prova, certe paure persistono.
– Ti sentirai sempre inadeguata, a ragionare così.
– C’è poco da ragionare, nasco outsider e tale resto. Poco cambia che sia per ceto, aspetto, prospettive o auspici. Ma ora va meglio.
– Te ne freghi?
– No, ma l’incertezza è più leggera.
– Cioè?
– La mia prof pretendeva cinquanta lire per ogni “cioè” che dicevamo in classe.
– Pace, fammi un esempio.
– Ora mi sento fuoriposto per cavolate, che so, per l’età: sono a disagio con le Converse e i jeans strappati, o se faccio ciao ciao con la mano. Eppure capita d’incontrare vecchiette che salutano così, si sbracciano come facevano da bambine, e sono stupende. Allora compenso con cose da grandi, magari con un taglio di capelli…
– Ah, volevo dirtelo, come ti sei conciata…
– Non me ne risparmi, eh? Capelli lunghi e look sbarazzino attiravano le attenzioni e la delusione di ragazzi…
– Lo ripete mia mamma: “Dietro liceo e davanti museo”.
– Va’ a fare qualcosa, va’!
Anch’io riprendo a scrivere, ho giusto un raccontino su una fresca, spigliata, sfortunata anziana che…
Giusto oggi ripensavo alla mia prima auto…. Cosa darei per averla ancora… (in realtà non molto, ma averla ancora mi piacerebbe)
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Che auto era? La mia prima auto è stata una A112 bianca, ma non era proprio mia, me la prestavano i miei. Divertente guidarla. 😊 Eh a leggerti mi viene nostalgia, l’Agila è stata una buona compagna e di ottima compagnia, in effetti se ci penso mi manca. 😅
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Una Ford Capri coupe del 76 con tettuccio in vinile. Ora sarebbe un pezzo unico. Mi viene il magone… 😥😢😭
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Appena vista su internet, bella! 😊 Dai dai non pensiamoci, i ricordi non deperiscono e non si rottamano, quindi l’Agila e la Ford Capri vivono ancora, almeno per noi. 😉
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🚗🚙
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😉👍🤗
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separarsi dal passato spesso è meno traumatico di quanto sembra se il nuovo che ci attende è meglio di ciò che abbiamo lasciato. Io ho cambiato macchina giusto un paio di mesi fa, aveva più di 10 anni, era una Lancia Y. Ora con la mia nuova Fiesta ho già un rapporto di amore, sebbene abbia fatto un contratto di 3 anni, quindi quando la sostituirò con la nuova non dovrò rattristarmi troppo, in fondo saremo stati bene insieme, e con me le macchine di km ne fanno moltissimi! In 3 mesi la nuova ne ha già percorsi più di 11.000, diciamo che i viaggi sono parte di me, come si può vedere anche dal mio blog 😉
Anch’io sono di Genova, ma ci vivo tuttora, a differenza tua, che tuo malgrado hai dovuto allontanartene. Penso che i luoghi nei quali siamo nati ci rimangano sempre nel cuore, e quando per qualche motivo dobbiamo allontanarci la malinconia di fondo c’è sempre…
Bella questa tua narrazione, anche simpatica… 😉
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Eh è vero,bisognerebbe guardare avanti. 😉 Purtroppo mi volto sempre a guardarmi alle spalle e lì nasce la nostalgia. Bella la Fiesta, piace anche a me ma non so se riuscirei a separarmi dall’auto dopo tre anni, nono cambierei idea e la vorrei tutta per me, malato senso del possesso. 😅 Però in effetti è un buon esercizio per non legarsi ai beni effimeri. 😊 Eh anch’io mi sposto parecchio (non quanto te 😉), più o meno sarò sui 30000 all’anno, molti km dei quali verso Genova e Imperia. 😊 A Genova ho quasi tutti i miei affetti, nostalgia dei posti e dei rapporti, ma tra qualche anno si torna quindi non pensiamoci. 😊 Grazie, buonissima giornata. 😊
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con i tuoi 30.000 km l’anno dovresti pensare alla mia formula, avresti sempre auto nuove senza grossi problemi fino al prossimo cambio. Sai anch’io prima tenevo sempre le macchine fino alla fine, le ho portate tutte oltre 240.000 km, però ho visto che alla fine ho speso così tanto per la manutenzione che me ne sarei comprata un’altra 😉
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In effetti è un’idea, se non mi si sbriciolasse il cuore ogni volta a cambiare sarebbe da considerare. 😊 Oltretutto ieri ti ho pensato, ero appunto in auto e alla radio (non ricordo, forse radio 24)hanno reclamizzato proprio la formula che suggerisci. 😊 Buonissima giornata. 😊
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Canzoni, auto, luoghi (probabilmente anche animali e persone), hai attaccamenti intensi che travasi intatti in questo flusso di parole.
ml
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Eh anche troppo intensi, a volte lo spirito implora una tregua. 😉 Però mi rincuorano le tue parole, quel “travasi intatti” mi fa sperare di essere riuscita a trasmettere un po’ di quel che sento. Grazie mille. 😊
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Tra tutti i film tratti da un romanzo, il più bello in assoluto è senza dubbio questo: https://wwayne.wordpress.com/2011/02/17/imperdibile/
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Ok, a questo punto della mia vita credo sia giunta l’ora di confessare: “Non l’ho mai visto!”. Per pregiudizio, per circostanze o per pigrizia. Ma non ditelo a mia sorella o non mi parla più. 😅 So che sarebbe ora di rimediare, grazie per avermelo ricordato. 😊
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Io avevo una 500L che mettevo in moto a spinta, lasciando la macchina in discesa e mettendo la gambetta fuori per darmi il via 🙂 Era mitica e piansi da matti quando dovetti liberarmene. Il giorno dopo averla mollata mi telefonò il concessionario per chiedermi come diavolo si metteva in moto..già, perché la piccola 500L color rosa antico conosceva solo me 🙂
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Eh eh fantastica, anche mia mamma aveva una 126 azzurra che metteva in moto in discesa e con la gambetta, ah ah che scena mitica hai descritto!!! 🤣Un abbraccio, buonissima serata. 😊🤗
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